mercoledì 30 luglio 2008
“Andate fino in fondo, poi girate a sinistra.” La ragazza dello stand di piccola bigiotteria ci sorride, indicandoci lo “spazio-concerto”.
“Fiesta”, una manifestazione ben collaudata nell’ambito dell’”Estate Romana”, all’ ippodromo delle Capannelle. Sono le 21:30 di martedì e sembra che mezza Roma si sia riversata qui dentro, il che non mi stupirebbe, dato l’evento: si esibisce Franco Battiato; prezzo del biglietto £ 15.000.
Lo “spazio concerto” è in una posizione assolutamente infelice, una conca, affossata tra uno degli innumerevoli stand di ristorazione e la case popolari del Tuscolano. Abbastanza claustrofobico. Un centinaio di sedie sotto il palco ed una pedana di legno della quale mi accorgo solo dopo averci inciampato, mentre ci facciamo largo a gomitate tra centinaia di ragazzi e ragazzini vocianti.
Il cantautore si presenta con 5 minuti d’anticipo sul programma (che succede!? non è nel suo stile…) “Prima comincia prima finisce” è il malizioso pensiero che si affaccia per un istante; attacca con uno “standard” italiano: “Il cielo in una stanza” e l’atmosfera si scalda.
Il gruppo che lo accompagna è formato da un bassista, un batterista, un tastierista, un violinista, tre ragazze “vocalist”. Lui indossa il solito tight (lo stesso look da oltre dieci anni), ha sempre quell’aria da intellettuale smaliziato e un po’ snob che si trova lì per uno strano scherzo del destino. Lo spettacolo prosegue con un paio di pezzi tratti dal nuovo album, poi attacca con i “classici”: Bandiera bianca, Centro di gravità permanente, L’era del cinghiale bianco. Poi si insinuano le prime note de:”La cura” ed è a questo punto che l’atmosfera cambia di colpo, la folla impazzisce, tutti a cantare, (se non vengono accesi accendini è solo perché è passato di moda), le coppiette si stringono; io stesso ho la pelle d’oca…. Finalmente il Battiato che conosco, intimista e lirico, attento e partecipe che mette l’anima in uno dei più bei brani che la musica leggera italiana abbia prodotto negli ultimi dieci anni. Il testo è favoloso, la musica superba; se fino ad ora si è dimostrato un po’ freddo e distratto, il cantautore siciliano, appassionato delle danze Sufi, seguace da anni dei mistici darwishi, sfodera tutto il carisma di cui è capace; impossibile resistergli.
Questo non è certo l’ambiente che gli si addice; i grandi spazi aperti o i mega stadi
non gli consentono di esprimersi al meglio. Dopo tre quarti d’ora (l’accusa che gli viene rivolta sempre più di frequente è che i suoi concerti sono troppo brevi), lasca il posto al suo maestro Sufi, nonché paroliere, che si produce in una patetica parodia di Manu Ciao.
Mentre cerco di guadagnare l’uscita penso che la prossima volta sarà meglio spendere 70000 lire e andare a vedere Franco Battiato in un piccolo teatro.
“Fiesta”, una manifestazione ben collaudata nell’ambito dell’”Estate Romana”, all’ ippodromo delle Capannelle. Sono le 21:30 di martedì e sembra che mezza Roma si sia riversata qui dentro, il che non mi stupirebbe, dato l’evento: si esibisce Franco Battiato; prezzo del biglietto £ 15.000.
Lo “spazio concerto” è in una posizione assolutamente infelice, una conca, affossata tra uno degli innumerevoli stand di ristorazione e la case popolari del Tuscolano. Abbastanza claustrofobico. Un centinaio di sedie sotto il palco ed una pedana di legno della quale mi accorgo solo dopo averci inciampato, mentre ci facciamo largo a gomitate tra centinaia di ragazzi e ragazzini vocianti.
Il cantautore si presenta con 5 minuti d’anticipo sul programma (che succede!? non è nel suo stile…) “Prima comincia prima finisce” è il malizioso pensiero che si affaccia per un istante; attacca con uno “standard” italiano: “Il cielo in una stanza” e l’atmosfera si scalda.
Il gruppo che lo accompagna è formato da un bassista, un batterista, un tastierista, un violinista, tre ragazze “vocalist”. Lui indossa il solito tight (lo stesso look da oltre dieci anni), ha sempre quell’aria da intellettuale smaliziato e un po’ snob che si trova lì per uno strano scherzo del destino. Lo spettacolo prosegue con un paio di pezzi tratti dal nuovo album, poi attacca con i “classici”: Bandiera bianca, Centro di gravità permanente, L’era del cinghiale bianco. Poi si insinuano le prime note de:”La cura” ed è a questo punto che l’atmosfera cambia di colpo, la folla impazzisce, tutti a cantare, (se non vengono accesi accendini è solo perché è passato di moda), le coppiette si stringono; io stesso ho la pelle d’oca…. Finalmente il Battiato che conosco, intimista e lirico, attento e partecipe che mette l’anima in uno dei più bei brani che la musica leggera italiana abbia prodotto negli ultimi dieci anni. Il testo è favoloso, la musica superba; se fino ad ora si è dimostrato un po’ freddo e distratto, il cantautore siciliano, appassionato delle danze Sufi, seguace da anni dei mistici darwishi, sfodera tutto il carisma di cui è capace; impossibile resistergli.
Questo non è certo l’ambiente che gli si addice; i grandi spazi aperti o i mega stadi
non gli consentono di esprimersi al meglio. Dopo tre quarti d’ora (l’accusa che gli viene rivolta sempre più di frequente è che i suoi concerti sono troppo brevi), lasca il posto al suo maestro Sufi, nonché paroliere, che si produce in una patetica parodia di Manu Ciao.
Mentre cerco di guadagnare l’uscita penso che la prossima volta sarà meglio spendere 70000 lire e andare a vedere Franco Battiato in un piccolo teatro.
